FRANCESCO E I MIGRANTI
Era la sera del 3 ottobre 1226
quando tranquillo, come in punta di piedi, Francesco, atteso da Dio, se ne
andò. Quasi danzando. Come sempre, dal corpo asciutto e consumato, lo sguardo
ormai perduto, praticamente cieco, inseguiva un'invisibile melodia. Oggi è
diventato il santo italiano più popolare e venerato nel mondo. La sua città,
simbolo di pace. I suoi figli, a migliaia, simbolo di fratellanza. “I miei
frati!” pare ancora di sentire la sua voce con quel tenero richiamo. A noi,
italiani emigrati all’estero, ha insegnato la sua stessa strada. Il cammino
dell’esilio, lo spogliarsi di ogni cosa e di ogni affetto, la fratellanza con
uomini e culture molto differenti da noi. I suoi passi sono diventati la nostra
vita. Camminare, partire, rinascere, saper amare volti, lingue e orizzonti
sconosciuti. Come per lui. Forse, fu il più grande rivoluzionario nella Chiesa.
Cantò con tutte le fibre dell’anima il Magnificat di Maria, il canto di lode a
un Dio che esalta gli umili e i poveri, umilia i potenti e gli arroganti. E
cantando i suoi occhi sembravano aprirsi, per scoprire sorprendentemente
un’altra dimensione: la fratellanza. In tempi in cui ricchezza e affari
cominciavano a diffondersi a piene mani – anche nella sua stessa famiglia –
dividendo uomini e classi sociali, abbracciò la povertà. Con lo stesso stupore
di chi incontra per strada una donna avvenente, che lui chiamava Madonna
Povertà. Amò, così, la condizione del povero. La gioia gratuita del giullare.
La libertà dei figli di Dio. Calpestò la ricchezza. Dopo aver scoperto, come
nel vangelo del campo, un tesoro ancora più grande: la fratellanza con ogni
essere vivente. Creatura umana o animale, acqua o fuoco, tutto danzava con lui
al ritmo di uno spirito fraterno naïf ed esaltante. Nacque, un bel mattino, il
suo Cantico delle creature. Un giorno perfino la morte, come una sorella, lo
prenderà per mano, per danzare con lui verso il Creatore. Oggi, tuttavia, se il
figlio più bello di Assisi tornasse sui suoi passi, la sua gioia si farebbe
pianto. La fratellanza sbocciata nel cuore dell’Italia è diventata un mardorlo
in fiore, congelato dai venti dell’inverno. Denaro, ambizioni, ingordigia,
privilegi, interesse privato sono diventati in questi anni i nostri idoli.
Abbiamo perduto, così, il senso del fratello e il gusto del condividere. Forse
Francesco ci farebbe intonare un inno semplice e dimenticato: Fratelli
d’Italia. Sì, perché a cominciare dagli emigranti arrivati tra di noi, trattati
a volte come animali, ci farebbe riscoprire la nostra stessa umanità. Ci
farebbe capire i nostri giovani, diventati i “paria”, gli ultimi della nostra
stessa società. Ci aiuterebbe a scoprire gli idoli viventi tra di noi, “quelli
che hanno occhi e non vedono, hanno la bocca e non parlano, hanno orecchi e non
ascoltano”, uomini chiusi in se stessi, complici di un mondo antico,
appassionati del dio Denaro. Francesco griderebbe con tutte le fibre dell’anima
che la fratellanza è l’unica maniera di costruire il nostro avvenire. Oggi
potrebbe dire: "Emigrati, giovani del Sud e del Nord, unitevi! Protestate,
danzate, inventate di nuovo fratellanza e condivisione. Un mondo nuovo deve
prendere inizio”. La rivoluzione di Francesco continua. Nelle chiese d’Italia
un santo di gesso saprà, forse, farsi ancora voce di Dio... se saprà trovare
dei veri testimoni. La nostra patria sarà davvero, allora, la terra di
Francesco. (Renato
Zilio, missionario a Londra)