UN MESE MISSIONARIO

Il mese di ottobre, per i cattolici, è il mese della sensibilizzazione per i Missionari. Gente che partiva e parte tuttora, per annunciare il vangelo a chi  non lo conosce. Gente che oggi si ritrova "missionario" a casa propria, senza andare in terre del sud o dell'oriente, perché proprio nel paesi di antica tradizione sempre più persone non hanno sentito l'annuncio.
Ricevo da un amico una riflessione che propone passaggi interessanti su chi è "missionario" in contesto di migrazioni.
“Sì, domenica prossima potrà celebrare una messa alle 7.00 di mattina!” mi fa serenamente deciso il parroco. Delle cinque messe che si celebreranno nella grande e bella chiesa del nostro paese la prima è del missionario. Ma resta il dubbio se sia un vero privilegio... Sarà la bella occasione di salutare la gente di paese, appena sveglia. Non il popolo di Dio, ma piuttosto un simpatico drappello di pensionati mattinieri.

Può sorgere, forse, l’interrogativo se un missionario in una parrocchia normale sia una lampada sopra o sotto il moggio. Se è colui che rivela l’anima della Chiesa, il suo respiro universale, oltre che la dinamica delle sue origini, l’invio in missione... Senz’altro, è sempre un po’ arduo spiegare la mia missione. Quella di accompagnare la fede di comunità di emigranti italiani all’estero. Un popolo, forse, ormai dimenticato. Quello stesso che, pur sognando la propria terra giorno e notte, quando ritorna sui propri passi, al proprio paese, sembra cambiare nazionalità. “Hai visto sono tornati gli inglesi?”si sente esclamare. “Sono arrivati gli argentini... i francesi...” La terra dove il destino vi ha portato diventa in patria un’amara etichetta di estraneità.
Essere missionario per me è essere pastore per questi uomini e queste donne che hanno lasciato la loro terra. La nostra. Un popolo che emigrava altrove per cercare da altri pane e solidarietà. Ed è sostenere la loro fiducia in un Dio che li ha presi per mano, accompagnare la speranza e il coraggio che li hanno fatti vivere. È, ancor di più, incoraggiare i gesti di fraternità e di alleanza con quanti li hanno accolti. Così, si incontra ancora oggi il Dio di Abramo. Il Dio del cammino, dell’apertura di orizzonte della mente e del cuore.
Essere missionario è per me professare in terra straniera che Dio è padre di ogni essere umano. Ma è ricordare ad ogni cristiano colui che ci fa vivere, il Signore risorto, vivente ancora tra di noi quando il suo amore ci unisce. Non dimenticando la sua verità più grande: saper condividere insieme. Sarà il segno più vero della presenza del Maestro fra i suoi discepoli, dopo averci lasciato quella sera di Emmaus. Condividere, così, ancora oggi con colui che emigra o colui che accoglie il valore di una cammino di umanità fatto assieme. Un rapporto più umano e più giusto in tutto ciò che insieme dobbiamo vivere.
Essere missionario, in fondo, è per me un servizio di comunione tra uomini e culture differenti. Pensando a quanti uomini e donne di buona volontà costruiscono ovunque il regno di Dio. Perché ovunque i ciechi vedono, gli storpi camminano, gli uomini ritrovano il senso della solidarietà e i migranti la loro dignità umana è qualcosa di nuovo che nasce. È veramente l’annuncio di una Buona Novella.
Alle 7.00 di mattina, alla prima messa, trovo importante ricordare tutto questo al nostro minuscolo gregge. Oltre al fatto che siamo un popolo di santi, di mercanti, di artisti e di emigranti. Così, condividere la nostra vita aprendo lo sguardo, la mente e il cuore a chi viene da lontano è costruire insieme il domani di Dio. Da sempre il suo nome è fratellanza.
Renato Zilio missionario italiano a Londra

Post popolari in questo blog

La chiesa di Sainte-Alix

Il nuovo arcivescovo di Malines-Bruxelles

Un nuovo inizio