IL SALUTO DEL CARDINAL DANEELS

I saluti del Cardinale


Il cardinale Danneels, presidente della Conferenza Episcopale belga, ha incontrato la sua diocesi in tre celebrazioni eucaristiche dislocate a Nivelles, Bruxelles e Malines. Un affettuoso saluto e rendimento di grazie per i doni ricevuti dal Signore. Il popolo partecipa coralmente e con molta emozione a questo “grazie” per il bene promosso da Dio attraverso il suo pastore-vescovo.

Riportiamo la traduzione (nostra) dell’omelia del Cardinal Godfried Danneels alla Messa di ringraziamento del 9 gennaio 2010, celebrata nella Cattedrale di S. Michel e Gudule in Bruxelles

«C’è un momento per tutto e un tempo per ogni cosa sotto il cielo » dice l’ecclesiaste nella Bibbia (Qo.3.2). C’è un tempo per cominciare e un tempo per finire, un tempo per arrivare ed un tempo per partire, un tempo per parlare e un tempo per star zitti. I pastori vengono e partono, passano. Uno solo resta: il buon pastore, Cristo Gesù, “il Gran Pastore delle pecore”(Ebr. 13,20) come dice l’epistola agli Ebrei.

Fissate lo sguardo su Gesù

Dunque bisogna parlare di Lui: di Gesù. In questo giorno della mia partenza, che io possa dirvi, fratelli e sorelle: “Guardate Gesù, l’apostolo e il gran sacerdote della nostra professione di fede” Eb. 3,1. Guardate a lui. Ci sono molte cose da osservare ai nostri giorni: la crisi economica, la nostra chiesa in piena tempesta, la sua mancanza di personale e di mezzi, molti uomini e donne che vivono nella povertà materiale e ancor più gli altrettanti nello smarrimento spirituale, tutti i cercatori di felicità che non la trovano ormai più. Sì, lo ripeto: fissate le sguardo su Gesù. Sì, forse può sembrare che dormi in fondo alla barca su un cuscino, in mezzo alla tempesta. E noi che gridiamo come gli apostoli nel vangelo:”Maestro, non ti importa che periamo?” (Mc. 4,38). E cosa ci risponde, a noi, in piena burrasca : « perché avete una paura simile ? » Sarà il solo rimprovero che ci farà. “Perché avete così paura?” (Mc. 4,40). No, non ci rimprovererà di non lavorare duro, di mancare di strategie, d’organizzazione, di direzione, di progetti. No, ci rimprovererà di aver avuto paura e di non esserci accorti che lui era con noi nella barca.
Sì, Lui è là, in mezzo a noi, nei poveri e nei piccoli; ci osserva attraverso i loro occhi. Lui è là nella sua parola, nella Santa scrittura e nella predicazione della Chiesa. Egli è là presente nella santa liturgia, questa epifania de tutti i suoi misteri. Egli è là soprattutto nel pane e nel vino eucaristico, suo vero Corpo e suo vero Sangue. Egli è là nell’eucaristia, tutto intero. Sì, fissate il vostro sguardo su Gesù eucaristico … diventate una chiesa di adorazione come vi chiesi a Bruxelles durante la “Toussaint 2006”. Lo domando ancora una volta quasi fosse il testamento di un arcivescovo in partenza.

Amate la Chiesa

Amate la Chiesa, e amatala come è, nera e bella come la fidanzata del Cantico dei cantici. “Io sono nera, bella, figlie di Gerusalemme … non fate caso se sono mora, se il sole mi ha abbronzata, i miei fratelli mi hanno fatto sorvegliare le vigne …” (Ct. 1,5).
Io ho amato la Chiesa durante tutta la mia vita, come si ama una sposa. Porto al dito l’anello di questo lungo matrimonio. Amate la Chiesa. Certo, porta le sue rughe – è comprensibile - dopo duemila anni.
Ma lei è bella e fedele. Per vedere la Chiesa in verità, c’è bisogno di uno sguardo di fede che rende visibile ciò che è invisibile, cioè un mistero, divino e umano allo stesso tempo. Come diceva sant’Agostino:”Quando parlo di Lei, non posso fare a meno di parlarne bene!” E ogni volta che le trovo un difetto, la fede lo trasforma in neo di bellezza. E poi, questo difetto è una ruga di mia madre. E ogni mamma, non porta forse delle rughe? Ma è mia madre, la mia. E le sue rughe? Se osservo bene, sono anche le mie. Noi abbiamo ricevuto tutto dalla nostra madre, la Chiesa : la scrittura, i sacramenti, lo splendore della sua liturgia, la tenerezza pastorale che ci circonda, e soprattutto riceviamo da lei numerosi fratelli e sorelle nella fede, e meglio ancora, riceviamo i Santi e le Sante.
La Chiesa ci dona soprattutto la liturgia. E’ proprio là, nel mistero della santa liturgia, che risiede la forza e il fascino della Chiesa. Quando questa liturgia è celebrata nel fervore e nella bellezza, la Chiesa vi si manifesta come è nel suo profondo. Sobria e grande allo stesso tempo. E’ la liturgia che contiene la sua maggior forza di evangelizzazione. Nessuno sfugge al fascino misterioso della divina liturgia. Può anche accadere che la liturgia diverrà il mezzo per eccellenza per evangelizzare nella cultura pagana, indifferente, ma, francamente, non poi così ostile.

Nel mondo. Ma non del mondo
Molti dei nostri contemporanei non conoscono più il messaggio del vangelo. Neppure il suo vocabolario non è più compreso. Siamo forse ritornati ai primi tempi della Chiesa dove non c’era che un pugno di cristiani nel mondo pagano e indifferente? E oggi un mondo semplicemente ignorante. Cosa fare?

Cominciamo con lo sviluppare in noi una sana presa di coscienza della nostra identità cristiana. Non si tratta di pretesa né di orgoglio; E’ semplicemente una questione di essere veri. Infatti come seguire qualcuno, se è solo un’ombra sfuggevole? Mostriamo noi stessi quali noi siamo: apostoli del Cristo e portatori del vangelo. Senza complessi e senza arroganza. Essere noi stessi. Questo è permesso, è perfino obbligatorio. Perché « se la tromba non emette il suo squillo, chi si preparerà alla battaglia? (1Cor. 14,8) dice San Paolo.
Annunciare e praticare il vangelo in tutta la sua radicalità. E soprattutto non tenerlo segreto.
Anzi, serve di più. Prendiamo parte senza alcuna reticenza alla cultura della nostra epoca: alla sua scienza, ai suoi progressi, al suo sviluppo tecnologico fantastico, alla sua filosofia, alla sua arte, alla sua sensibilità. Senz’altro bisognerà avere anche e continuamente, il dono del discernimento. In effetti, non tutto quanto è proposto dal mercato della nostra cultura è valido allo stesso modo. Ma come discernere se ci si tiene da parte?
I cristiani vivono in questo paradosso : sono nel mondo, ma non sono del mondo. In alcuni momenti è come sentirci in croce. Lo stesso fu per Gesù : lo si è messo in croce, tra cielo e terra. “Egli è venuto tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Egli ha amato il mondo, ma il mondo non lo ha amato. Questa è anche la nostra croce: essere sospesi tra cielo e terra. Ma è in questa posizione di crocifissi che noi portiamo al mondo una forza di risurrezione.
Mai nessun uomo ha parlato come Lui, si diceva di Gesù. Che lo si possa dire allo stesso modo anche di noi cristiani, ai giorni nostri. Allora, bisogna gridare? Di tanto in tanto, sì, certamente. Ma resta quanto il profeta Isaia dice del Servo sofferente:”Non griderà, non alzerà il tono della voce, non farà intendere nella strada il suo clamore …”(is.42,2).
Avremo bisogno del dono di parlare ai nostri contemporanei: con fermezza e senza compromessi, ma mai con un tono di superiorità o di disprezzo; abbiamo bisogno del dono di parlare come Gesù. “ Fu preso dalla compassione per le folle, perché erano stanche e smarrite come pecore senza pastore” (Mt. 9.96). Parlare ai nostri contemporanei per servire e non per dominare.

La grazia del perdono e della riconciliazione

Ancora una cosa, forse. Noi cristiani, abbiamo molto da fare per questo mondo: impegnarci per la giustizia, per la solidarietà, combattere la fame e la violenza, salvare il nostro pianeta. E’ quanto noi facciamo già. Ma, forse, il mondo ha bisogno di un’altra cosa da parte nostra: riconciliazione e perdono. A casa nostra e altrove. Riavvicinamento e riconciliazione tra i molti colori, razze, lingue che vivono insieme. Forse, il nostro paese è un laboratorio per realizzare questa convivialità delle differenze, questa coesione nella diversità. Non ci sono molti luoghi nel mondo dove tanta gente differente cerca di vivere insieme. Certamente, alla base ci dovrà sempre essere il rispetto del diritto e della giustizia. Ma il mondo sarà vivibile solo quando sull’humus della giustizia e dell’uguaglianza, fiorirà la pianta medicinale che si chiama riconciliazione e perdono.
Colui che riconosce all’altro i suoi diritti, genera l’altro alla vita; ma colui che perdona, risuscita un morto.
Volgendo lo sguardo indietro sulla mia vita di vescovo, vedo ciò che ho potuto realizzare e quanto non ho potuto fare, vedo i successi ed i fallimenti, le occasioni che ho portato a buon profitto e quelle che ho mancato, vedo i miei doni ed i miei difetti. Cosa dire?
Come il giovane prete del romanzo di Georges Bernanos nel “Giornale di un curato di campagna”, ho voglia di dire:” Tutto è grazia”. Guarda caso è pure una parola di Santa Teresa di Lisieux:”Tutto è grazia”. Sì, tutto è grazia. Grazie Signore!

+ Godfried Cardinal DANNEELS

Post popolari in questo blog

La chiesa di Sainte-Alix

Il nuovo arcivescovo di Malines-Bruxelles

Un nuovo inizio