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La lezione di Peter Bauer nel mondo di oggi
A Roma è stato presentato, in collaborazione con l'Istituto Bruno Leoni, presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, il volume “Dalla sussistenza allo scambio. Uno sguardo critico sugli aiuti allo sviluppo” di Peter T. Bauer (IBL Libri, 2009), con prefazione di Amartya Sen.


Bauer (1915-2002) fu uno dei più importanti rappresentanti della rinascita del liberalismo classico nel secondo dopoguerra, riuscendo a cambiare profondamente l’interpretazione dello sviluppo nei Paesi più poveri, sulla scorta delle lezioni apprese nelle sue ricerche sul campo nella Malesia occidentale e nell’Africa occidentale. Riportiamo, prendendola dall’agenzia Zenit, l’interessante intervista a Alberto Mingardi, Direttore generale dell'Istituto Bruno Leoni a cura di Antonio Gaspari

Quali sono in breve gli argomenti al centro del libro di Peter Bauer?

Alberto Mingardi: Credo che le "lezioni" di Bauer più interessanti siano due. La prima è non sottovalutare mai la forza dei più poveri. Egli è un autore che rigetta con grande forza qualsiasi paternalismo: e invita a considerare proprio i più poveri, gli abitanti dei Paesi rimasti ai margini dello sviluppo, come potenziali artefici della propria riscossa. E' un autore che ci invita a considerare la capacità di quelle popolazioni di produrre attività economica, di creare ricchezza, di aprirsi ai mercati internazionali.
La seconda lezione è non esaltare mai il ruolo dello Stato. Non pensare che si possa sostituire all'operoso entusiasmo delle persone, la manna scagliata dal cielo da qualche decisore pubblico. In questo Bauer è utilissimo critico di quella impropria sacralizzazione dello Stato che lo vede come risposta a tutti i problemi umani, paradossalmente scavalcando gli uomini stessi, e la loro capacità di trovare assieme, cooperativamente, soluzione ai problemi sociali.

Da punto di visto religioso il principio della sussistenza è molto importante perché sembra di combattere l’avarizia e l’invidia. Qual è la risposta di Bauer?
Alberto Mingardi: Bauer ha puntato l'attenzione sulla necessità ed il ruolo degli scambi per uscire da un'economia di sussistenza, una economia senza futuro. Come egli scrive molto chiaramente "abbandonare la produzione di sussistenza richiede un'attività commerciale". Non c'è crescita economica senza commercio. Perché senza uno sbocco sul mercato e un modo per accedervi, non può esservi alcuna produzione destinata alla vendita. E senza vendita non vi è creazione di una economia interdipendente. Senza interdipendenza economica, è impossibile che ciascuno possa vedere soddisfatti i propri bisogni. In regime di sussistenza o di autarchia, ciascuno può soddisfare solo quei bisogni dei quali può curarsi autonomamente. Questo non solo riduce il raggio delle opzioni di vita, ma impoverisce anche lo spirito, la possibilità di realizzazione degli individui. Il commercio, invece, è il primo ponte verso una prospettiva più ampia. Bauer cita una interessante frase di Winston Churchill, pronunciata quando questi era in visita in Africa orientale. "E' il commerciante di origine indiana che, penetrando e rimanendo nei posti più svariati, nei quali nessun bianco si spingerebbe, né potrebbe sperare di guadagnarsi da vivere, ha contribuito più di ogni altro alla nascita dei rudimenti del commercio e ha aperto le prime, tenui, linee di comunicazione". L'alternativa all'economia di scambio è l'isolamente, la chiusura. E il commerciante è colui che apre le rotte, che mette in comunicazione i popoli, che insegna agli uomini a capirsi a vicenda.

Bauer ha scritto sull’importanza dello scambio - e non solo internazionale - nella lotta contro povertà. Quali sono gli effetti umani positivi dello scambio?
Alberto Mingardi: Lo scambio è una delle attività più peculiarmente umane che vi siano. Noi scambiamo continuamente. Idee, opinioni, pensieri. L'essenza dello scambio è il contatto con l'altro. Scambiare non è solo "commerciare". Scambiare è vivere. Ed è anche commerciare. La virtù maggiore del commercio è la sua capacità di disinnescare le ragioni del conflitto. Creando interdipendenza economica, il commercio costruisce la pace. la rivista Wired ha proposto di dare il Premio Nobel per la pace a Internet, per come facilita la comprensione fra individui. Il commercio fa la stessa cosa, tant'é che Internet è in buona sostanza una società commerciale. Scambiare, e dipendere da ciò che si scambia l'uno con l'altro per la propria ricchezza ed il proprio benessere, vuol dire acconciarsi a mettere il proprio futuro nelle mani dell'altro. Accettare che per vivere e per crescere io debba rendere all'altro ciò che egli vuole. Lo scambio è la pietra angolare della civiltà.

E' cambiato il mondo dell'economia? E in che modo il pensiero di Bauer continua ad influenzare gli economisti di oggi?
Alberto Mingardi: Sì, il mondo è cambiato. Oggi economisti come William Easterly, Paul Collier o Dambisa Moyo, autrice del bestseller "Dead Aid", hanno abbracciato gli stessi argomenti di Bauer. Come per Bauer cinquant'anni fa, loro partono da una consapevolezza empirica. Easterly ha lavorato per anni alla Banca Mondiale, per poi essere deluso dal modo in cui i fondi venivano allocati e dal loro impatto sullo sviluppo dei Paesi più poveri. Dambisa Moyo viene dallo Zambia. Ha avuto una carriera straordinariamente felice, ha studiato ad Harvard, ma non dimentica il suo Paese d'origine e anzi cerca di leggerne i problemi sulla scorta di quanto ha imparato in Occidente. Bauer stesso aveva studiato empiricamente la situazione del cosiddetto "Terzo mondo" (espressione che detestava) negli anni Cinquanta, prima di pervenire al suo noto "dissenso" sulle politiche per lo sviluppo. Ciò che unisce questi autori a Bauer è la consapevolezza che gli aiuti allo sviluppo sono distribuiti in modo discrezionale, in Italia si direbbe: agli amici degli amici, e non hanno un impatto positivo e duraturo sulla capacità delle popolazioni locali di generare crescita economica. Al contrario, sia questi autori che Bauer sanno bene che vi è intensa attività economica nei Paesi più poveri. I poveri scambiano, commerciano. Ma non riescono ad uscire dal sottosviluppo un po' perché sono depredati dai loro governi, e un po' perché non hanno buone istituzioni che consentano certezza del diritto e, quindi, progressiva accumulazione di capitale.

Esiste una corrente di pensiero che critica lo scambio come attività inutile, non produttiva e solamente speculativa. La ricchezza ha una somma fissa e i ricchi sono ricchi perché hanno rubato le risorse dai poveri. C’è qualche verità all’argomento?

Alberto Mingardi: Come ebbe a scrivere Bauer, “l'idea che il reddito dei più abbienti sia stato in qualche modo ottenuto a spese dei più poveri ha una storia lunga e nefasta”. E' una storia, sia detto, peculiarmente politica. Ovvero, nonostante questo assunto sia abbondantemente screditato sul piano economico, esso permane nel dibattito perché ha una sua importante funzione politica. La politica è sempre un dividere amici e nemici, si costruisce consenso su un senso di appartenenza. Additare al pubblico chi ha di più, come responsabile della povertà di altri, spesso aiuta ad aumentare il proprio consenso - e fornisce un nemico ben identificato.
In realtà, l'economia non è un gioco a somma zero. La creatività di persone che vengono premiate col successo economico, crea occupazione e ricchezza anche per altri. In una economia di mercato, la nostra possibilità di guadagnare tanto è legata alla nostra capacità di soddisfare al meglio le esigenze, i bisogni, i desideri dei nostri simili. Il motivo del profitto ci lega assieme come società, ci rende dipendenti gli uni dagli altri. Certamente vi sono Paesi e situazioni in cui ad un reddito importante, non corrisponde alcuna capacità di soddisfare i bisogni dei propri simili. Ma si tratta dei Paesi e delle situazioni in cui vi è una grande intermediazione politica. Di realtà in cui non sono le forze della domanda e dell'offerta a decidere dei redditi di una persona, ma egli guadagna in misura della sua capacità di accumulare privilegi politici.
Ci sono due modi in cui si può guadagnare un reddito: mettendosi al servizio del consumatore, o mettendosi al servizio del sovrano. Alti guadagni per chi sceglie la prima strada non costituiscono un problema per nessuno. Gli altri guadagni di chi ha imboccato la seconda segnalano un pericolo per la libertà e i diritti di tutti.

Nell’enciclica Caritas in veritate, Papa Benedetto XVI rilancia l’appello per un sviluppo umano integrale, fatto da Paolo VI. Secondo lei, cosa penserebbe Bauer delle argomentazioni al centro dell’enciclica?
Alberto Mingardi: Il punto di vista di Bauer, che pure era cattolico di nascita e pretese per sé un funerale cattolico, è in forte tensione con la Popolorum Progressio. Egli la lesse attentamente e non trovò, nella proposta di Paolo VI, "nulla di specificamente cristiano o cattolico", paragonandola anzi ad un "testo laico come il Rapporto Brandt". A questi documenti, ciò che Bauer contestava era l'idea che per fare uscire interi Paesi dalla povertà si dovesse fare affidamento non su risorse ed energie interne a quegli stessi Paesi - ma al contrario su forme di coordinamento internazionale volte a redistribuire ricchezza fra "il Nord e il Sud del mondo". In quest'ambito, Bauer notava come apparisse debole "la tesi a sostegno della redistribuzione organizzata della ricchezza" non appena "si rammenti con quanta facilità questo genere di politica possa aggravare le condizioni dei più poveri e accrescere il potere e l'influenza di chi organizza il trasferimento di ricchezza". Non a caso, notava Bauer, "la redistribuzione organizzata dallo Stato va spesso a vantaggio dei gruppi a medio reddito, a spese dei poveri": ovvero i fondi vengono stornati a vantaggio dei gruppi politicamente influenti. Che l'intermediazione politica degli aiuti provochi effetti perversi, è oggi riconosciuto autorevolmente dal Santo Padre proprio nella Caritas in veritate (§ 58), quando egli scrive che gli aiuti "al di là delle intenzioni dei donatori, possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza e perfino favorire situazioni di dominio locale e di sfruttamento all'interno del Paese aiutato".

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