Invertire la tendenza



Anche quest’anno si è reso omaggio ai morti italiani e non, della tragedia di Marcinelle: è doveroso.
Una celebrazione che va messa accanto alle altre, attuate lungo il corso dei mesi, quando ricordiamo i naufraghi sepolti nel mediterraneo vittime di una insensibilità crescente e di un accanimento spietato di molti “commercianti di carne umana”, quando ricordiamo i morti sui cantieri di lavoro vittime di una precarietà di sicurezza risultante da ingaggi superficiali, o i morti per condizioni di salute degenerata da scarse situazioni igieniche o di mal nutrizione per “sistemazione” inumane obbligate da crescente egoismo e durezza di cuore.
I migranti, i lavoratori immigrati non vivono certo una situazione migliorata, anzi, le pressioni ostili nei loro confronti , aumentano sempre più fragilità, esclusione e morte.
E’ bene ricordare queste disgrazie superando, se possibile, gli anniversari che ci forzano a proclami e a celebrazioni troppo piene di parole, dove i morti diventano l’occasione per parlare di altro. Rischiamo addirittura di non pregare neppure più per i morti!
Ma se è importante esserci e rappresentare istituzioni e manifestare attenzione al sacrificio dei numerosi lavoratori emigranti, è ancora più importante metterci dalla parte di chi è costretto ad emigrare ancora oggi. La preghiera di suffragio che timidamente si recita in queste occasioni, vorrei tanto che esplodesse in un grido che scuota la coscienza ed il cuore di tutti.
Se dobbiamo lottare per eliminare le cause che spingono ad emigrare, se dobbiamo decidere per condividere risorse in modo solidale perché il sud non sia lasciato indietro e possa credere alle proprie potenzialità, allo stesso tempo è irrinunciabile che l’atteggiamento verso chi emigra cambi profondamente.
Vuol dire rendere ancora più forti le voci che protestano perché venga tolga la legge che ha definito reato la clandestinità, denunciare il populismo che “esaltando” il lavoro degli emigrati italiani finisce per offendere milioni di migranti che con lo stesso “basso profilo”, la stessa umiltà, la stessa determinazione continuano a lavorare per le proprie famiglie e per “mandare a casa” rimesse utili e preziose per uscire dalla miseria e dalla disperazione. Anche molti italiani non si comportarono bene, cedettero alla violenza e al delinquere, come avviene per diversi immigrati. Ma allo sbaglio si deve contrapporre la vicinanza, l’educazione, il sostegno perché ognuno possa avere l’opportunità di cambiare e rifarsi una vita, pur pagando il loro debito sociale. Non sono pochi gli italiani che, dopo sbagli anche gravi, proprio all’estero hanno trovato occasione e forza per rifarsi una vita finalmente riuscita.
Celebrare Marcinelle ed ogni altra tragedia che ha coinvolto i migranti, significa riconquistare la centralità della persona umana, riaffermando i valori morali e civili che danno luce alla società. Nessuna persona è un “vuoto a perdere” e pertanto ritorniamo al territorio creando relazioni di convivialità, creando spazio perché nessuno sia escluso, formando educatori sempre più interculturali, coltivando la nostra memoria per apprezzare la nostra storia e la nostra identità e poterla serenamente intrecciare con altre identità che vivono tra noi, lavorando su un dialogo ed una accoglienza sincera e rispettosa.
E’ proprio il regionale, il paesano, il “piccolo” che è cambiato perché si è colorato di ricchezze individuali variegate che provengono da molte latitudini, e lo vediamo nei nostri bambini che rischiamo di fuorviare con le nostre paure e i nostri preconcetti di “grandi”.
Stiamo vicino alle giovani famiglie immigrate, hanno risorse importanti che è opportuno investir e per costruire relazioni e partecipazione, per aumentare formazione ed educazione: non sprechiamole in tensioni, malintesi e contrapposizioni. Quanti italiani non trovarono spazio e accoglienza e si chiusero nella “nostalgia” della loro Patria, Regione e paese che sono diventati sempre più “piccoli” e loro sempre più emarginati e senza “appartenenza”.
Impariamo a non gestire da soli e da “padroni” i progetti di convivenza, di sicurezza e gli interventi per la ripresa di fiducia sia per l’economia che per la qualità di vita.
Abbiamo la fortuna che molti fra le persone che raggiungono e si stabiliscono in Italia ed in Europa hanno una formazione ed una professionalità qualitativamente buona: diamo loro la possibilità di partecipare alle decisioni e alla gestione del territorio: si inseriranno prima e meglio con benefici per tutti.
Anche i preti ed i missionari che condividono la vita con gli italiani nel mondo possono dare il loro contributo per invertire la tendenza che li sta marginalizzando verso una chiusura sempre più veloce del servizio pastorale specifico e delle missioni cattoliche italiane.
Abbiamo molto da dire alle chiese locali in Italia e all’estero, perché si rifugino sempre meno nella dimensione territoriale autoreferenziale e autoctona e diventino quelle che sono: cattoliche, universali, capaci di gioire della diversità di Pentecoste che le costituisce. Proprio constatando di essere divenute minoranza e poco “significative” per il potere, possono di nuovo credere al dono di diventare lievito che tocca il cuore delle persone e ridiventare “Parola” che insegna l’umanità secondo Gesù Cristo.
Saranno capaci di scegliere decisamente l’incontro delle persone, l’ascolto delle sofferenze dei piccoli, sapranno dare in abbondanza il perdono di Dio che sa riconciliare i cuori, perché solo così riusciremo a costruire pace. E se c’è la pace, c’è lavoro e sicurezza per tutti ed ovunque.

Don Domenico Locatelli
Missionario italiano in emigrazione a Bruxelles

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